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Ex Ilva, nessun accordo sulla cassa integrazione

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Secondo i sindacati non ci sono le condizioni

Dopo quasi quattro ore di confronto al ministero del Lavoro non è stato raggiunto alcun accordo sulla richiesta di cassa integrazione straordinaria presentata da Acciaierie d'Italia per 4.450 dipendenti, 400 in più rispetto ai numeri già previsti. L'azienda descrive una situazione sempre più critica, segnata da “squilibri finanziari crescenti” aggravati da costi elevati e ricavi in ??continuo calo.

La posizione dell'azienda
“Il tempo è il nostro peggior nemico”, hanno sottolineato i vertici di AdI. Il ministero ha fissato al 24 settembre la conclusione dell'iter di esame congiunto, ricordando che, pur non essendo indispensabile un accordo formale per attivare la cigs (prevista per legge), è importante raggiungere una “condivisione sociale” in questa fase delicata, anche alla luce della procedura di vendita in corso. In caso d'intesa, la scadenza del 24 potrebbe essere posticipata di pochi giorni.

I sindacati, però, hanno assunto una posizione netta: senza prima un chiarimento da parte del governo sul futuro dell'ex Ilva non ci sono le condizioni da trattare. Le sigle chiedono risposte politiche dirette da Palazzo Chigi.

Nel frattempo, il prossimo tavolo al ministero del Lavoro è stato fissato proprio per il 24 settembre.

Emergenza tempo e produzione insufficiente
Il mercato è in forte calo e i ricavi continuano a ridursi, ha spiegato Claudio Picucci, responsabile HR dell'azienda. L'ultimo incontro al ministero risaliva al 25 giugno, seguito da diversi rinvii che, secondo AdI, hanno logorato ulteriormente le risorse finanziarie. Dal canto suo, il ministero ha replicato che i rinvii sono stati motivati ??dalla necessità di attendere decisioni politiche.

Maurizio Saitta, direttore generale, ha sottolineato che l'azienda regge solo grazie a finanziamenti pubblici, che devono però essere utilizzati con cautela. La richiesta di ampliamento della cassa integrazione, ha precisato, permetterebbe di traghettare la società verso la conclusione della vendita, ritenuta sempre più urgente.

Il piano industriale, intanto, procede: fino a marzo 2026 resterà attivo un solo altoforno, poi si affiancherà anche l'Afo4. Si attende il dissequestro dell'Afo1 che, se ottenuto, potrebbe tornare operativo in circa sei mesi e mezzo.

La linea dei sindacati
I sindacati metalmeccanici restano compatti. Per Fiom, Fim e Uilm non è consentito aumentare i numeri della cassa integrazione senza un quadro politico definito. “È necessario che il governo dica chiaramente cosa intende fare di questa azienda”, hanno ribadito i coordinatori.

Loris Scarpa (Fiom) ha parlato di un incontro dai toni “drammatici”, mentre Valerio D'Alò (Fim) ha sottolineato che i continui rinvii testimoniano mancanza di chiarezza politica. Guglielmo Gambardella (Uilm) ha accusato governo e istituzioni locali di indecisione e immobilismo, ricordando che non devono essere i lavoratori a pagare il prezzo della crisi e dei ritardi.

Secondo indiscrezioni, nella gara per l'acquisizione degli impianti si sarebbe defilato il gruppo azero di Baku, lasciando campo aperto agli indiani di Jindal e agli americani di Bedrock. Ma i sindacati insistono: “Serve chiarezza sul percorso da intraprendere, e che arrivi al più presto in un incontro a Palazzo Chigi”.

19 Settembre
Autore
Redazione

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