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L'eterna suggestione dell'Amazzonia nelle fotografie di Salgado

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Al Maxxi la mostra del fotografo brasiliano con un percorso che abbraccia la foresta, gli indios, le acque e i fiumi volanti, gli indios. In nome della natura

Solo con la suggestione dei fiumi volanti forse riusciremo a comprendere l’importanza dell’Amazzonia nel quadro rotondo del pianeta. Mai come in questo periodo resta prioritario lo stato di salute del mondo, vuoi per la Pandemia che ci ha fatto riscoprire la forza della natura (se, sempre se, il virus Covid non sia un prodotto laboratoriale), vuoi per i due appuntamenti ravvicinati G20 e Cop26 dove i grandi della Terra hanno affrontato con spirito risolutivo (?) il tema del clima. E l’Amazzonia, l’ex inferno verde oggi ribattezzato paradiso verde, vive di una nuova luce. Quella dei riflettori di un mondo intero che guarda a questo polmone, esteso dieci volte la Francia, per il futuro del mondo, e quella dei flash del lavoro di un fotografo che sa andare in profondità empatica coi territori e con le genti che ritrae. La mostra ‘Amazzonia’ di Sebastião Salgado al Maxxi di Roma (terminerà il 13 febbraio 2022) sì promuove la nuda bellezza del suo lavoro di testimone del suo tempo prima ancora che di un fotografo di qualità, sì amplifica la bellezza selvaggia della foresta brasiliana esaltandone i suoi innumerevoli scorci (la vegetazione, le montagne, i corsi d’acqua, il cielo), sì rinverdisce il mito del buon selvaggio nei ritratti (anche video) delle popolazioni indigene, ma sottolinea -e prende forma- il suo messaggio che concede ulteriore vigore alla sua mission: quella di sensibilizzare il mondo che l’Amazzonia è in pericolo, che tradotto significa che l’intero mondo è in costante pericolo. Le grida, composte e fiere, delle popolazioni indigene nei video girati da Salgado e dai suoi collaboratori che per questo straordinario lavoro hanno impiegato 7 anni, suonano come un continuo campanello d’allarme, denunciando una politica aggressiva e dissennata del governo centrale, con il presidente Jair Bolsonaro che a più riprese ha espresso un concetto, non condivisibile ma che esprime un punto di vista diverso da quello dominante: l’Amazzonia è un tema del Brasile perché insiste in Brasile. Un passaggio speculare a quello emerso nei concitati dialoghi di Cop26: perché India e Cina devono smettere di correre e produrre (leggi, inquinare) verso il progresso quando fino a ieri nessuno ha fermato l’arroganza industriale di Usa e Paesi Ue?

Domande con risposte da convivio interminabile a parte, torniamo alla prima rara suggestione con cui abbiamo aperto la splendida mostra di Salgado: i fiumi volanti. Cosa sono? Sono trecce di nuvole, bianche e grigie, che comprimono come fossero ovatta gran parte dell’Amazzonia. E sì, perché il vapore acqueo sull’immensa foresta non è formato dai suoi fiumi quanto dalla stessa vegetazione, una patina straordinaria che impedisce ai satelliti di sbirciare questo mare verde e la mancata visibilità è la cartina di tornasole che la Terra ha ancora ossigeno. Esatto, avete capito bene: se un giorno gli occhi del satellite dovessero vedere l’Amazzonia, be’, è la fine per l’umanità.

E qui si muove lo scopo sociale della mostra di Salgado, abbracciando con impeto e affetto gli ultimi 370mila discendenti indios, ritratti nelle loro performance quotidiane, mentre gli occhi occidentali si smarriscono nelle pieghe delle fotografie sospese: ora gli arcobaleni che sembrano geyser emersi dalla foresta, oppure il percorso di un Rio delle Amazzoni che si contorce in quel mare di vegetazione, ancora queste nuvole che coprono la selva e che non ti permetteranno mai di osservare un cielo limpido e porcellanato, e ancora e ancora alberi, macchie, paludi, fiumi che contengono 16mila specie vegetali differenti, e ancora lo splendido affresco delle anavilhanas, le isole nella corrente del Rio Negro che formano un arcipelago vastissimo. Si resta rapiti davanti alle immagini sospese, in un ambiente oscuro, con la musica in sottofondo che richiama gli spiriti della foresta, come il fruscio degli alberi, i versi degli animali, il fragore dell’acqua attraverso un percorso emozionale che ti impone rispetto e sudditanza.

Una mostra divisa per sezioni in uno spazio forse sacrificato, perché il bianco e nero del fotografo brasiliano meritava probabilmente aree maggiori, seppure esaltate nel catalogo da strenna presente nel fornito bookshop, ma comunque il Maxxi ci ha regalato questa esperienza emozionale che ci fa riflettere ma soprattutto viaggiare, quasi ammirando dall’alto uno dei capolavori della natura, come se fossimo catapultati in un altrove con Mister No a sorvolare col suo piper quel mare verde. Ecco, sognare. Salgado ci fornisce questo regalo col suo lavoro, ci porta in un’altra dimensione che appartiene a un mondo ancestrale, ravvivato dagli eterni spiriti della Natura che chiedono solo di vivere in simbiosi con se stessi. Quello che, alla fine, chiedono le tribù degli indios, quello che chiede il mondo. Avendo come destinatario del messaggio il presidente Jair Bolsonaro.

2 anni fa
Foto: maxxi
Autore
Gian Luca Campagna

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