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Il Frosinone vola in serie A

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Non è un caso che questa promozione arrivi il giorno della festa dei lavoratori. Ma è una notizia di cui eravamo certi da tempo

Commentare così non è semplice. Ti convocano in amministrazione del giornale e pur conoscendo la fede nerazzurra (del Latina) ti inviano in agosto sin dalla prima giornata a seguire il Frosinone calcio. Come scrissi, se segui una squadra di calcio e ne devi raccontare le gesta per un intero campionato è inevitabile che si crea una sorta di empatia. Certo, le annose rivalità sportive bivaccano lì come un monito, ma sei un professionista, segui, annoti, racconti. E sei impermeabile ai sentimenti. Di amore e di odio (si fa per dire, eh). Così allo Stirpe, in una serata di maggio straordinariamente umida, il Frosinone batte 3-1 la Reggina e vola con tre turni di anticipo nella massima serie.

Oggi il Frosinone è in serie A, ma è una notizia di cui eravamo certi da settimane, se non da mesi. Di questo ero certo, raccontando gioco e idee, ma soprattutto della qualità della rosa, corroborata anche dal numero di giocatori. E forse non è un caso che la certificazione della massima serie sia avvenuta il 1° maggio, festa del lavoro, perchè questa squadra è stata costruita pianificando, grazie al lavoro del ds Angelozzi, che ha messo a disposizione di uno stratega come Fabio Grosso una squadra capace solo di vincere. Una società, quella del patròn Maurizio Stirpe, che ha uno stadio di proprietà (qui in Italia, terra colma di contraddizioni imprenditorialsportive, è un lustro di cui si vanta solo Juventus e Udinese), che possiede un ristopub a uso e consumo della tifoseria, che ha una programmazione giovanile seria, che è stata capace di essere centro aggregatore tra capoluogo e città limitrofe. Un piccolo grande miracolo sociale e sportivo. Vedere ogni volta il Benito Stirpe colorato è stata bellezza per gli occhi, vedere le famiglie allo stadio è sempre bello quali siano i vessilli sbandierati, vedere i colori gialli e blu dava un senso d’Europa per via dell’uniformità con quelle tonalità sostenute da tutto il mondo occidentale, forse tifare Frosinone è stato per i ciociari ricordare che è giusto anche “morire per Danzica”, pardòn, per Kiev.

Da campione del mondo, Fabio Grosso ha plasmato una squadra a sua immagine e somiglianza, vincente. Turati è sempre rimasto il guardiano dell’antro, il ministro della difesa è  stato Lucioni, aiutato a proteggere il fortino da Ravanelli, Cotali, Szyminski, Monterisi, Kalaj, Frabotta, Oyono, Sampirisi; nella terra di mezzo ha svettato Boloca (in odore di Nazionale), assistito dalla cerniera di Mazzitelli e da un generosissimo Kone, più Rohdén, Garritano, Lulic, Oliveri, Gelli, Bocic, Bidaoui; in avanti ci siamo divertiti con i contagiri di Insigne, con i dribbling di Caso, con l’opportunismo di Mulattieri e Borrelli, con le accelerazioni di Baez, in attesa dell’esplosione di un predestinato come Moro. Be’, molti di loro li vedremo in serie A. sempre guidati da Grosso.

Seguire i canarini in tribuna stampa allo Stirpe era facile, ma non nego che più trascorrevano le giornate, quando il Frosinone era impegnato in trasferta, più clikavo sulle varie app per essere aggiornato sul risultato della squadra canarina. A oggi non saprei quanto di questo c’è di empatico e di professionale. Non lo so. E, per favore, non chiedetemelo.

2 Maggio
Autore
Gian Luca Campagna

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