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La Cina non cambia sui diritti umani. Il caso Peng Shuai

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Il governo di Pechino oscura i profili social della tennista scomparsa dopo che aveva denunciato gli abusi sessuali di un leader del regime

I diritti umani? Spazzatura. Fastidiosa pratica per arrivare agli obiettivi. Economici. O sessuali. E sì, perchè se da una parte le guerre scaturiscono da moventi economici mascherati da politici, ecco che la componente sessuale (tolta anche la guerra di Troia, non certo scoppiata per il ratto della bella Elena) è confinata in quell'alveo della franchigia delle emozioni, sia da parte di chi oscenamente la attua, sia di chi la subisce, sia di chi ne è testimone od osservatore. Così ecco il caso squallido e allarmistico della tennista cinese Peng Shuai che il 2 novembre su Twitter aveva denunicato di essere stata abusata sessualmente e in modo continuativo dall'ex leader cinese Zhang Gaoli, espressione di una dinastia di imperatori rossi che hanno sempre calpestato i diritti umani dei loro popoli, identificandoli semplicemente nel corso degli anni come dei numeri o dei pezzi di carne, da sacrificare in nome di un becero tornaconto personale ancora prima di quello collettivizzato, idealmente ricercato in un Comunismo fatto a immagine e somiglianza di sua maestà l'ipocrisia. 

La Cina è questa, probabilmente è sempre stata questa e probabilmente il futuro è già scritto da una nomenklatura che fa rabbrividire per i corsi e ricorsi storici che hanno una cadenza di una regolarità perversa. 

In Cina denunciare le storture di un uomo potente del regime dittatoriale significa sparire. Letteralmente. Fisicamente. In questo momento non sappiamo il destino della tennista Peng Shuai, di cui sono stati oscurati tutti i social, anche se prima la stessa tennista in maniera goffa aveva smentito se stessa rispetto alla sua denuncia, che tradotto è un tentativo squallido e maldestro da parte di qualcuno che si è impadronito del suo profilo digitando parole lesive nei confronti dell'intelligenza umana. 

Così nasce l’hashtag #WhereIsPengShuai, per accerchiare il regime di Pechino e farlo uscire allo scoperto rispetto a una vicenda disumana; al pari l'associazione donne del tennis internazionale è pronta ad annullare ogni torneo in terra cinese, mentre il presidente americano Biden sta valutando il boicottaggio diplomatico delle Olimpiadi invernali di Pechino, che si terranno dal 4 al 20 febbraio, pur salvando la partecipazione degli sportivi (e quindi che boicottaggio è?! Non ci sono nemmeno più i boicottaggi di una volta, quelli per essere chiari delle Olimpiadi Mosca 80 o Los Angeles 84). 

Dal canto suo la Cina risponde con un candore misto ad arroganza che odora tanto di romanzo distopico se non fosse la cruda realtà: "Politicizzare lo sport è contro lo spirito olimpico e danneggia gli interessi degli atleti di tutti i Paesi" ha dichiarato il portavoce del ministero degli Esteri cinesi, Zhao Lijian, a proposito delle dichiarazioni del presidente americano. Le accuse sui diritti mosse dall'Amministrazione Usa sono "incoerenti con la verità e completamente infondate", ha aggiunto il portavoce in conferenza stampa, definendo le affermazioni di Washington una "barzelletta agli occhi del popolo cinese".

Un barzelletta, cara marionetta Zhao Lijian, che non fa ridere nessuno. 

2 anni fa
Autore
Gian Luca Campagna

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