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Sudan nel caos. Russia e Onu chiedono la pace

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Entrambe le parti stanno cercando di ottenere il controllo degli aeroporti, perché saranno le principali rotte di approvvigionamento per chi riuscirà a conquistarli

"Entrambe le parti stanno cercando di ottenere il controllo degli aeroporti, perché saranno le principali rotte di approvvigionamento per chi riuscirà a conquistarli". Lo riporta la corrispondente di Al Jazeera in Sudan, sottolineando come gli scontri per il controllo degli aeroporti e delle infrastrutture chiave si stiano intensificando in tutto il Paese.

"Si sentono spari da parte dell'artiglieria pesante in varie parti di Khartoum. Si può vedere il fumo che sale nella parte settentrionale e occidentale della capitale", riferisce l'emittente, a conferma del fatto che i combattimenti nel Paese continuano, nonostante gli appelli internazionali a fermare l'escalation.

Il capo della missione delle Nazioni Unite in Sudan, Volker Perthes, ha condannato "fermamente" lo scoppio dei combattimenti in Sudan e sollecitato la fine "immediata" degli scontri tra esercito regolare e paramilitari.

In una nota Perthes ha reso noto di aver contattato entrambe le parti chiedendo loro "l'immediata cessazione dei combattimenti per garantire la sicurezza del popolo sudanese e per risparmiare al Paese ulteriori violenze".

La Russia è profondamente preoccupata dalla crescente violenza degli scontri che stanno scuotendo il Sudan in queste ore e chiede un rapido "cessate il fuoco".

"Esortiamo le parti in conflitto a dimostrare volontà politica e moderazione e ad adottare misure immediate per un cessate il fuoco" ha dichiarato il ministro degli Esteri russo, Sergej Lavrov, chiedendo alle forze in campo di dar via ai negoziati di pace. La Russia ha confermato che la sua ambasciata nella capitale Khartoum continua a funzionare sotto misure di sicurezza intensificate e che nessun cittadino russo è rimasto ferito durante gli scontri.

Il gruppo paramilitare Forze di supporto rapido (Rsf), protagonista degli scontri con le forze regolari che stanno sconvolgendo il Sudan, affonda le sue radici nel 2013, quando la maggior parte dei suoi componenti, appartenenti alla milizia Janjaweed, si resero protagonisti dei feroci scontri contro i ribelli del Darfur, regione occidentale del Paese.

Le Rsf, guidate dal generale Mohamed Hamdan Dagalo - di fatto il numero due del Sudan - si stanno scontrando con l'esercito sul futuro assetto del Paese mentre resta in sospeso il processo di transizione che dovrebbe portare il Sudan - attualmente controllato dai militari dopo un golpe - sotto un governo civile.

Sebbene fosse stato stabilito un piano per l'intergrazione delle Rsf nell'esercito, una disputa tra Dagalo, alias 'Hemedti', e il capo della giunta militare al potere, Abdel Fattah al-Burhan, sui tempi necessari per imporre il nuovo governo e soprattutto su chi avrebbe guidato il Sudan ha complicato le cose. Si è arrivati così a delle forti tensioni tra le parti che sono sfociate nei duri combattimenti scoppiati questa mattina. 

Le Rsf sono state accusate da più parti di gravi abusi di diritti umani. Nel 2015, secondo quanto riporta la Bbc, circa 40mila dei suoi membri hanno partecipato all'intervento militare a guida saudita in Yemen. Inoltre, nel 2019, miliziani delle Rsf - precisa sempre la Bbc - sono stati inviati in Libia per combattere al fianco dell'autoproclamato Esercito nazionale libico (Lna) del generale Haftar contro il governo di Tripoli riconosciuto dalla comunità internazionale (Gna).

Tra i crimini di cui le Rsf sono accusate c'è l'uccisione nel giugno 2019 di almeno 120 manifestanti durante un sit-in davanti al quartier generale dell'esercito nella capitale Khartoum, ma anche i rapimenti di donne e bambini e il saccheggio di diverse città.

1 anno fa
Foto: pixabay
Autore
Claudio Mascagni

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