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Il fascino di Venezia e le debolezze umane del calcio ciociaro

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La trasferta per seguire il Frosinone nel campionato di serie B ti porta in una città unica mentrei giallazzurri tornano a vincere in trasferta

Tu credi che nella vita ci siano dei paletti inviolabili. Che il percorso della vita, dato che si chiama percorso, abbia dei perimetri, dei confini che non possono essere varcati. Poi, l’anagrafica da una parte, la divina curiositas dall’altra e la conseguenza elasticità che ne consegue nel bel mezzo, ti ritrovi ad accettare il percorso che il destino ti crea (e quindi quello che tu vuoi). Così, ti sobbarchi la prima trasferta per seguire (professionalmente) il Frosinone calcio. Per chi è di Latina e tifa i leoni alati nerazzurri è una sorta di affronto sportivo ma se nella vita hai deciso di ‘fare’ il giornalista segui il tuo percorso professionale e la ferma volontà della proprietà del quotidiano per cui scrivi: seguire in questa stagione i leoni alati giallazzurri. E beffa del destino vuole che la prima trasferta al seguito della squadra ciociara sia in una città che ha per simbolo un leone alato, o meglio ‘il’ leone alato, Venezia, la Serenissima, la città di San Marco, che manco a farlo apposta donò a Latina il suo simbolo, il leone alato, appunto, che svetta nella piazza omonima davanti alla cattedrale cittadina.  

La trasferta al seguito della truppa di Grosso non è cominciata nel migliore dei modi: treni in ritardo già sull’asse Priverno Fossanova (ah, quando si vive in provincia!), accumulato in maniera terzomondista al terminal di Termini, amplificato strada ferrata facendo fino a raggiungere quella meraviglia di arcipelago tutelato dall’Unesco. Eh, già questo ti fa pensare che non c’è storia, non c’è partita, utilizzando il gergo sportivo: Venezia e Frosinone non possono competere, sarebbe lesa maestà, però la bellezza del calcio è accorciare le distanze di comunicazione. Possiede grande democraticità il pallone. È innegabile. E questo è di un fascino unico. Anzi, passeggiando nella rete mappata di canali, calle, campi e fondamenta ti chiedi cosa leghi il calcio a Venezia, una città sublimata all’arte, all’architettura, al cinema, alla musica, finanche alla letteratura. Ah, i colori di Venezia ti riempiono gli occhi appena scendi alla stazione Santa Lucia. Torni bambino ogni volta che tocchi il suolo di queste isole vanto italiano nel mondo, simbolo di come l’uomo e la natura abbiano stretto un patto per l’eternità, quello di una convivenza bella, bellissima. E ti continui a chiedere cosa c’entri il pallone qui, tra gondole e cicchetti, tra lusso, eleganza e fascino che ti catapulta ogni volta tra suggestioni settecentesche che rimandano a dogi, via della Seta e pregiati vetri. Eh, pare uno spot: la natura crea e l’uomo conserva. Tenendo lontano il popolano e popolare pallone.

Così, ogni volta che ti lasci coinvolgere nel festival dei colori di Venezia torni come un bambino smarrito nelle luci di un luna-park. Ammetto anche un altro aspetto: il calcio di Grosso predicato a Frosinone mi diverte, il presidente Stirpe (e il diggì Angelozzi) hanno confezionato una rosa competitiva, bella, spumeggiante, un giusto mix –si dice- tra veterani e giovani di grandi speranze per la pedata italica. Così, non ho perso una partita casalinga dei cugini leoni alati. Ed hanno sempre vinto. Prima Brescia, poi Como, poi Palermo e Spal allo Stirpe (ah, che bello stadio!). In trasferta ero stato tentato di andare a Modena, ma cadeva alla vigilia di Ferragosto, non ho ceduto nemmeno alle lusinghe di Parma, ma a Venezia solo un ateo della vita direbbe no. E così, complice anche la volontà di reperire e inspirare spunti per il prossimo romanzo, gita a Venezia con annessa partita o, se preferite, accredito per il match Venezia-Frosinone con escursione organizzata. Tanto è lo stesso, cambia solo la forma non la sostanza. Quella stessa sostanza di cui si è vestito il Frosinone nella seconda frazione al cospetto di un Venezia che tra le mura amiche –che proprio amiche non sono- ha perso finora 4 dei 5 match giocati. Roba che se ci fosse stato ancora Zamparini alla presidenza il povero Javorcic avrebbe subito la pena dell’abbacinamento che spettava ai Dogi infedeli. Così ogni volta che mi siedo per raccontare le gesta di Caso, Mazzitelli e Lucioni il Frosinone vince e convince. Eh sì, perché già serpeggia sui social network di lignaggio ciociaro questa favola provinciale che questo cronista pontino di comprovata fede nerazzurra porti fortuna ai colori giallazzurri: il Frosinone non vinceva in trasferta da 3 partite, anzi era tornato in terra ciociara con un triste zero nel carniere, ora la gita a Venezia invece ha restituito al campionato una squadra solida, camaleontica, capace di trasformarsi in corsa, con interpreti dalla panchina eccellenti musicanti di uno spartito scritto da un tecnico che sa essere elegante e caparbio allo stesso minutaggio. Prima di tutto amo il calcio, sono un esteta, mordo la vita, assaporo ogni cosa. Lo ammetto, mentre dal Penzo mi incamminavo verso i giardini della Biennale ascoltare i tifosi ciociari che intonavano cori su un vaporetto che sfidava l’umidità, la notte più scura dell’inchiostro e le onde agitate della Laguna mi ha strappato più di un sorriso.

1 anno fa
Autore
Gian Luca Campagna

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